La SPALLA CONGELATA: Dalla diagnosi ad una Riabilitazione Efficace
La Spalla Congelata o Capsule Adesiva, nonostante sia conosciuta e stata studiata da più di 100 anni, è ancora una delle patologie più enigmatiche e poco definite che affligge l’arto superiore. Questa problematica, in inglese definita “Frozen Shoulder”, viene usata per descrivere una condizione clinica della spalla in cui è presente un dolore diffuso e spesso di grado elevato durante i movimenti passivi del braccio in tutti i piani di movimento.
Clinicamente viene suddivisa in primaria o secondaria: nel primo caso parliamo di una condizione idiopatica la cui causa scatenante è ancora non definita e non correlata ad altre patologie; la definiamo secondaria quando invece è riconducibile a patologie sistemiche quali possono essere il diabete mellito, patologie tiroidee, immobilizzazioni prolungate in seguito ad interventi chirurgici, ecc..
In questa sede ci concentreremo sulla determinazione delle caratteristiche salienti della Spalla Congelata Primaria o Idiopatica.
Patologia
La caratteristica principale di questa condizione è una restrizione generale dell’articolazione gleno-omerale che inizia a livello della capsula articolare per poi estendersi, durante il suo decorso clinico, alle strutture muscolari e legamentose esterne ad essa.
E’ generalmente accettato dagli esperti in materia che alla base di questo processo ci sia un’infiammazione alla membrana sinoviale seguita da una reazione fibrotica dello strato fibroso della capsula stessa, specialmente a livello del Legamento Coraco-Omerale (da alcuni studiosi pensato essere parte integrante della capsula) che ha come risultato un ispessimento di tutta la struttura che contribuisce ancor di più alla relativa difficoltà di mobilità che è il segno caratteristico della Spalla congelata.
Il come o cosa scateni il processo infiammatorio e la conseguente reazione fibrotica rimane ancora un mistero. Alcuni fattori di rischio sono stati evidenziati (età, microtraumi ripetuti con assenza di lesioni visibili, assenza di operazioni alla spalla nella storia clinica, immobilità, problematiche cervicali, ecc..) ma nessuno di essi riesce ad individuare una reale causa scatenante.
Prognosi
Il naturale decorso clinico della Spalla Congelata, cioè in assenza di cure, rimane anch’esso poco comprensibile ed accertabile. Cosa abbastanza certa è che però tale condizione tende a scomparire da sola in un periodo che va da uno a tre anni, anche se sono stati documentati casi in cui tale condizione si è protratta anche fino a dieci anni dall’insorgenza.
Di norma è una patologia che una volta risolta non è soggetta a recidive e molto raramente si può presentare anche dal lato controlaterale a distanza di tempo.
Il dolore è il primo fattore che tende ad aumentare di intensità anche prima dell’insorgenza della rigidità articolare, ma tende a diminuire per poi definitivamente scomparire nel tempo, nonostante la difficoltà nei movimenti permane anche per diversi anni.
Diagnosi
La diagnosi derivata da un semplice esame obiettivo è abbastanza semplice, a volte è sufficiente ascoltare la storia clinica dal paziente stesso che la riferisce per farsi un’idea della condizione. La parte più difficile rimane lo stabilire in quale fase della patologia il paziente si trovi.
Nelle classificazioni internazionali vengono infatti distinte tre differenti fasi cliniche:
-Fase 1 Infiammatoria (3-9 mesi): caratterizzata da un aumento graduale del dolore, difficoltà anche solo di poggiarsi sul lato malato quando si è a letto, dolore a volte lancinante nei movimenti (soprattutto quelli improvvisi). Da notare che non è ancora presente nessun segno di restrizione articolare.
-Fase 2 Congelamento (4-12 mesi): caratterizzata da una diffusa ipertrofia della capsula articolare e contrattura fibrotica del legamento gleno-omerale, da cui deriva una marcata riduzione del ROM (range of motion) fino anche al 50% ma con una netta diminuzione del dolore, tuttavia ancora presente negli ultimi gradi di movimento permessi dal grado di restrizione. La forza muscolare, anche se diminuita dalla conseguente atrofia, non risulta alterata.
-Fase 3 Recupero (12-42 mesi): graduale aumento del movimento fino al ripristino della condizione antecedente anche se sono presenti casi in cui il recupero articolare non è completo.
La valutazione obiettiva inizia con un esame visivo di entrambe le spalle per visualizzarne eventuali differenze a livello di tono muscolare, forma ed atteggiamento. Alla palpazione della spalla affetta è presente dolorabilità nella zona della cuffia dei rotatori, a livello della borsa sotto-acromiale, dell’inserzione del deltoide. Trigger point miofasciali sono distribuiti in maniera diffusa in tutti i tessuti muscolari circostanti la spalla, specialmente a livello del sottoscaplare, infraspinato, grande e piccolo rotondo, deltoide e trapezio. Nel valutare la mobilità bisogna saper distinguere il reale range di movimento a livello dell’articolazione gleni-omerale tenendo conto del fatto che il fattore dolore presente nelle fasi iniziali della malattia potrebbe alterare il risultato.
Trattamento
Le seguenti proposte di trattamento di Fisioterapia e medico si basano sulle evidenze scientifiche disponibili e sulle considerazioni apprese lungo la mia esperienza clinica, qualsiasi approccio si decida di intraprendere è consigliabile chiedere il parere di un Fisioterapista Specializzato e di un medico Ortopedico esperto.
Le indicazioni che seguono si basano molto sullo stadio della patologia che il paziente presenta.
Nella prima fase è suggerito l’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidi e a volte vengono suggeriti cicli di tecarterapia effettuata durante l’esecuzione di movimenti attivi controllati che non devono assolutamente evocare dolore. Nei casi di dolore elevato sono consigliabili anche infiltrazioni di corticosteroidi, la cui somministrazione fa la differenza nei casi più difficili. ll trattamento dei Trigger Point locali, soprattutto a livello del Sottoscapolare e dei muscoli toraci-scapolari è una valida opzione per ridurre la sintomatologia dolorosa a componente miofasciale. In quest’ultimo approccio l’utilizzo della tecnica di Dry Needling la fa da regina essendo di gran lunga più efficace ed immediata rispetto alla terapia manuale classica. L’applicazione di impacchi caldi può essere un valido esempio su come prolungare gli effetti della terapia anche nel contesto casalingo. E’ essenziale in questa fase spiegare al paziente che deve evitare movimenti che esacerbano il dolore perché sono uno starter per aggravare e prolungare l’infiammazione già presente.
Nella fase di Congelamento l’uso degli anti-infiammatori è sconsigliato essendo la fase “reattiva” della malattia terminata. Molti sono gli interventi che possono essere realizzati per aumentare la mobilità dell’articolazione dal punto di vista fisioterapico, ma pochi hanno dimostrato un reale accorciamento dei tempi di trattamento a sfavore di altri. Per i pazienti del nostro studio di Albano Laziale siamo abituati a scegliere un approccio più prettamente casalingo strutturato su un programma di esercizi standardizzato con sedute a studio di una sola volta la settimana, consci del fatto che il trattamento giornaliero spesso non si è dimostrato più efficace rispetto a quello saltuario. Le sedute di Fisioterapia si basano principalmente su mobilizzazioni articolari “a fine corsa” basate sul concetto Mulligan, seguite da un’applicazione di Ipertermia locale.
Nella terza fase la ripresa è maggiormente dovuta al naturale decorso della patologia più che da una reale effettività del trattamento, ma nei casi più lenti, ulteriori sedute di mobilizzazioni articolari possono essere eseguite per ripristinare completamente la mobilità.
Nei casi più difficili, per fortuna statisticamente rari, in cui l’intervento conservativo non dà troppi risultati, altre misure possono essere prese per aumentare la velocità di recupero articolare, tra le quali la mobilizzazione sotto anestesia, anche se questa opzione deve essere necessariamente presa con le dovute precauzioni per gli effetti collaterali che ne possono derivare, tra le quali la rottura della capsula articolare.
Dott. Basile Enzo
Bibliografia
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